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Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo: intervista all'Avv. Marisa Marraffino - Professional Academy

Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo: intervista all’Avv. Marisa Marraffino



In occasione della Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo abbiamo fatto due chiacchiere con l’Avv. Marisa Marrafino, fondatrice dell’omonimo studio legale situato a Milano, specializzato nel digitale e nelle nuove tecnologie. Autrice del libro “Il bullismo spiegato a genitori e insegnanti, 10 modi per conoscerlo e affrontarlo”, promotrice di numerose iniziative, in ambito scolastico e non per l’educazione e la sensibilizzazione a questi fenomeni, e collaboratrice de “Il Sole 24 Ore”, dalla nascita dei primi social network si occupa prevalentemente di reati informatici e dei rischi della rete in generale. Da anni cura i corsi realizzati da Professional Academy sui temi del bullismo e del cyberbullismo.

Oggi è la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, a che punto siamo in Italia con la lotta alla violenza, in Rete e non?

In Italia ci sono già molte norme che puniscono la violenza e l’odio online. Non è vero che non esistono leggi, questo è sbagliato. Il problema vero è che la Rete non ha confini e oggi ci sono regole e procedure che in molti casi impediscono la collaborazione internazionale, soprattutto in fase di indagini. I Provider stessi, nei casi di diffamazione, non collaborano, perché negli Stati Uniti non è un reato ma un illecito civile. Oggi spesso i social network sono chiamati a giudicare se stessi: questo è il vero problema. Non abbiamo convenzioni internazionali che garantiscano la rapidità e l’efficacia delle misure. Per rimuovere un contenuto online oggi ci vogliono mesi: questo è gravissimo. Un video diffuso in Rete può diventare virale anche in pochi minuti, figuriamoci cosa succede dopo mesi.

In che modo la nuova proposta di legge, già approvata alla Camera, intende migliorare la situazione?

La nuova proposta di legge – tra le altre cose – estende la portata del reato di atti persecutori (c.d. stalking) ad alcune condotte comunemente associate al bullismo, ma bisogna stare molto attenti a queste scelte. La norma estenderebbe lo stalking alle condotte reiterate di chi “percuote, ingiuria, diffama, umilia, emargina” qualcuno. Lo stalking è punito con la reclusione da 6 mesi a quattro anni e viene già contestato in molti casi di c.d. bullismo. Ho dei dubbi sulla legittimità costituzionale di una norma così generica. Le condotte di umiliazione o emarginazione sono talmente ampie da risultare pericolose in sede processuale. Cosa vuol dire umiliare qualcuno oppure emarginarlo? Basta non invitarlo ripetutamente a una festa o tenerlo fuori dai gruppi WhatsApp? Ci sono già norme che prevedono la violenza privata o le varie forme di diffamazione e sono norme tipizzate, ben circoscritte. L’ingiuria è stata depenalizzata ma in forma reiterata potrebbe diventare addirittura stalking?

Non credo onestamente che la strada di estendere norme già esistenti agli episodi di bullismo sia la via giusta. Il c.d. bullismo è un fenomeno complesso che ha molte sfaccettature.

Come vengono affrontati i casi in Tribunale?

I casi non vengono sottovalutati dai Tribunali per i minorenni, anzi. Di solito viene disposta una messa alla prova che prevede un percorso lungo e impegnativo per un ragazzo che viene messo a contatto con i servizi minorili, con altri suoi coetanei in difficoltà. Si tratta di percorsi che se ben strutturati possono portare a una vera e propria “rinascita” di un minorenne che ha sbagliato. Ricordiamoci che il carcere, soprattutto per i minorenni, non può e non deve essere la soluzione. Può sembrare la via più facile, ma sicuramente non è quella più efficace. Dobbiamo investire nei ragazzi, anche in quelli che hanno sbagliato, dando loro la possibilità di riscattarsi. Capita a volte che dopo questi percorsi i ragazzi vogliano andare nelle scuole a parlare ai loro coetanei, a spiegare loro cosa si rischia se si commettono certi gesti. Si chiama peer education, e questo credo abbia un senso perché dà continuità a un percorso di crescita.

E per quanto riguarda le pene?

Non serve aumentare le pene o i reati per risolvere il problema. I ragazzi hanno bisogno di guide sicure, di adulti solidi che sappiano accompagnarli con autorevolezza in quel percorso difficilissimo che è la crescita. Hanno bisogno di essere valorizzati e di avere un’alternativa concreta alla devianza. Occorre promuovere i loro interessi e individuare da subito il talento nascosto in ciascuno di loro. Chi si appassiona a un’arte, a un mestiere, impiega le proprie energie nella realizzazione del proprio sogno e in genere ha un obiettivo che lo tiene lontano dalla criminalità di tutti i generi.

Dal momento che il fenomeno del bullismo avviene soprattutto a scuola, come può un insegnante tutelare se stesso e le vittime?

Oggi è molto più complesso il ruolo dell’insegnante che deve essere preparato e pronto a cogliere i segnali sia dell’isolamento, per individuare le vittime, ma anche di ribellioni dei possibili autori che possono poi sfociare in veri e propri reati.

Gli insegnanti non dovrebbero mai stancarsi di credere nei loro ragazzi, dovrebbero valorizzare i talenti di ciascuno. Ognuno è diverso, ma tutti nascondono delle risorse che spesso sta alla famiglia e alla scuola scoprire. Questa è la vera responsabilità degli adulti.

Gli insegnanti devono essere autorevoli, capaci di farsi rispettare e segnalare anche alla Procura i casi di cui vengano a conoscenza. Occorre molta preparazione e anche una grande capacità di ascolto.

Gli insegnanti, poi, dovrebbero spiegare ai ragazzi le regole della Rete. Dovrebbero esserci dei percorsi continuativi durante l’anno per rispondere alle loro domande. Non è vero che gli studenti non sono curiosi. Quando vado nelle scuole a parlare di questi temi mi inondano di domande, vogliono sapere, hanno bisogno di risposte. Poi decideranno cosa fare, ma i nostri ragazzi sono migliori di come spesso i media li dipingono.

Prevenzione e sensibilizzazione: quali azioni intraprendere, in questi ambiti, per educare al rispetto del prossimo?

Spesso nelle scuole mi sento dire che mancano le risorse per avviare molti progetti. Ci sono molti bandi pubblici ai quali oggi le scuole possono attingere. Sul territorio ci sono poi molte associazioni che portano avanti iniziative gratuite, quello che manca purtroppo spesso sono le idee. Ho conosciuto insegnanti che da soli hanno portato avanti iniziative bellissime a costo zero. A Milano si sono inventati la merenda “salutista”. A ricreazione una collaboratrice scolastica consegna un frutto ai ragazzi, una mela o un mandarino, è un’occasione per guardarsi negli occhi e per creare un dialogo che parta da un’occasione. I ragazzi, giorno dopo giorno, si aprono e se hanno un problema ne parlano con lei. Oppure un’insegnante a Rozzano che il primo giorno di scuola ha attaccato alla porta della sua classe i modellini per fare i reclami al garante per la protezione dei dati personali e cancellare i contenuti online. Non ha detto loro niente, ma ha aspettato che loro chiedessero.

Sono gesti semplici, silenziosi, ma che dicono molto sulla capacità di ascolto degli insegnanti e in genere di chi lavora con i ragazzi.

Come si può agire in concreto?

È importante non far sentire i ragazzi continuamente sotto attacco. Sono anni che li trattiamo come se fossero già condannati prima del processo.

I reati minorili sono tanti e di vario genere, ma credo sempre meno di quelli commessi dagli adulti.

È necessaria una rivoluzione culturale, che parta da noi “grandi”, dobbiamo domandarci dove siamo stati in tutti questi anni e cosa abbiamo fatto per loro.

I social network in Italia ci sono ormai da circa 15 anni. Ci svegliamo un giorno e ci accorgiamo che i ragazzi condividono foto, postano contenuti che non dovrebbero e che fanno anche molto altro?

Al giorno d’oggi i ragazzi abusano di internet?

C’è un problema grave in Italia e nel resto del mondo che è la dipendenza da internet, in termini tecnici si chiama IAD, Internet Addiction Disorder. Ci sono casi anche in Italia, segnalati alle Procure minorili, di ragazzi “gobbi” che non riescono più a mantenere la posizione eretta perché abituati a stare curvi sul cellulare da quando erano molto piccoli.

La responsabilità è degli adulti. È finito il tempo di cercare alibi (lo fanno tutti: non riusciamo a staccarli dal cellulare, il bambino si calma soltanto con YouTube), occorre prendere coscienza e ripartire da capo, sfruttando le immense risorse della tecnologia, ma arginando la dipendenza da internet a fini di intrattenimento che sta causando danni seri di cui oggi vediamo soltanto una parte.

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